E’ Natale, si riaccendono le luminarie. Va benissimo: da sempre i momenti più significativi per una comunità sono accompagnati dall’uso della luce festoso, volutamente esagerato, dal sapore spesso strapaesano.
E vanno benissimo anche quelle iniziative, che pure approfittano del periodo di festività, e che con le prime hanno in comune solo il materiale “luce”, usato però con ben altra levatura per proporre progetti artistici e culturali.
Va tutto benissimo, purché le cose siano chiare.
Se si comincia a barare sulle parole, e si cerca di spacciare per arte ciò che invece è solo una luminaria più astrusa (e più costosa), si rende un pessimo servizio alla cultura, ingenerando una confusione di cui francamente non sentiamo il bisogno.
E una confusione ancora maggiore si provoca se, all’intreccio delle definizioni, si aggiunge anche l’attività che noi svolgiamo ogni giorno: cioè la progettazione della luce, non per una installazione o per una festa, ma per tutti i giorni.
Che, per carità, non è una cosa più nobile, ma certamente è una cosa diversa.
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