Cari colleghi, credo che ciò che ci comunica Il Presidente dell’Ordine degli architetti Bologna, possa interessare tutti noi, che ci occupiamo di consulenza e progetto.
Viene segnalato che alcuni link di siti internet pubblicizzano la “vendita” di servizi professionali (per adesso in particolare la certificazione energetica, ma poi??), a costi irrealmente bassi.
Dal momento che come è noto i minimi tariffari non sono più inderogabili, è legittimo che ogni professionista applichi le tariffe che ritiene opportune; è anche comprensibile che, in un momento di pesantissima crisi economica come quello che stiamo vivendo, i professionisti siano disponibili a contenere le parcelle ai minimi fisiologici, o anche a scendere al di sotto dei costi, pur di accaparrarsi clientela e lavoro. Tutto ciò però non può squalificare il lavoro del professionista con proposte di compensi bassi in maniera imbarazzante, risultando così ingannevoli e fuorvianti , danneggiando in questo modo tutta la categoria dei professionisti tecnici.
Il sito Groupon, ad esempio, (http://www.groupon.it/ ) ha riportato alcuni link di studi professionali che eseguono certificazione energetica a 49 €, “anziché 400, con un risparmio di 351 €”. Io capisco che a questi siti si possa attingere per trattamenti di bellezza o che un ristorante voglia lanciarsi o si proponga un viaggio last minute, ma una consulenza professionale no!! Quale qualità potrà avere?
Il Presidente ricorda che peraltro che l’art. 17 del Testo unificato delle nuove norme di deontologia per l’esercizio della professione di architetto recita: “L’architetto deve evitare ogni forma di accaparramento della clientela mediante espedienti di qualsiasi tipo contrari alla dignità professionale”.
Credo che l’Ordine attiverà tutte le eventuali forme che riterrà opportune di contrasto a questa nascente forma di “svendita” delle prestazioni professionali, quando e se associata a pubblicità ingannevoli come quella su citata, naturalmente nel rispetto dei principi del libero mercato, ma anche nei limiti della legge, a tutela del consumatore e della dignità del lavoro dell’architetto, coinvolgendo, quando e se il caso, le Amministrazioni interessate.
Giordana Arcesilai
La criticità della resa cromatica delle sorgenti allo stato solido, tipica della produzione iniziale agli albori dell’era dei LED, si è rapidamente evoluta, fino ad arrivare ad un ribaltamento che ha del paradossale. Oggi, la possibilità di modulare su diversi canali l’emissione di sorgenti elementari in diverse tonalità di bianco o in colori saturi, consente praticamente di comporre spettri cromatici su misura.
Alcune installazioni recenti, che hanno adottato questo approccio in ambito artistico, hanno mostrato risultati visivamente spettacolari, che tuttavia portano con sé un problema per così dire etico: fino a che punto è lecito enfatizzare un colore specifico, col rischio di compromettere l’equilibrio nelle rese cromatiche dei colori rimanenti?
Nelle illuminazioni commerciali, da sempre si adottano artifici per rendere al meglio i colori di determinati prodotti (la carne, il pesce, il pane, ecc.), ma questo in generale non comporta alcuna conseguenza giacché quelle sorgenti sono destinate appunto ad applicazioni specifiche, per le quali le rese cromatiche dei colori diversi da quelli per i quali sono state concepite non sono rilevanti.
Ma quanto è lecito adottare un approccio analogo nella illuminazione artistica? Se si enfatizza ad esempio una certa nuance di colore, tipica in un artista o prevalente in un certo dipinto, si rischia di alterare l’equilibrio nella resa dei colori rimanenti che pure, per quanto in misura minore, possono essere stati usati dallo stesso artista, nello stesso dipinto.
Dunque, qualsiasi manipolazione artificiosa di uno spettro, deve sempre essere accompagnata da una analisi accurata sull’intero spettro, che garantisca la maggiore fedeltà possibile nella resa dei colori, per tutta la sua estensione. Ma questo approccio, è oggi reso assai difficoltoso, se non impossibile, dalla carenza di informazioni messe a disposizione dai produttori.
Il problema in effetti, non è altro che quello (annoso) di una valutazione ragionevolmente oggettiva della resa cromatica di una sorgente.
Tutti sappiamo che l’Indice di Resa Cromatica (CRI) è un dato assolutamente insufficiente a descrivere in modo affidabile la resa cromatica di una sorgente, ed abbiamo sempre diffidato della sua validità assoluta. Il CRI è tanto meno affidabile per le sorgenti allo stato solido, che mostrano spesso valori particolarmente deludenti, tali da non rendere giustizia della reale resa cromatica valutata all’esame visivo. E cionondimeno, la praticità di affidarsi ad un solo valore, capace di condensare informazioni complesse, è talmente forte che prima o poi tutti ci siamo trovati nella necessità di appoggiarci a quel dato, pur conoscendone i limiti.
Di un valore di quel genere noi progettisti abbiamo bisogno: che superi i limiti del CRI e sia sintetico ed immediato nell’utilizzo ma, soprattutto che sia significativo.
Questo problema sta creando una situazione paradossale: il massimo della tecnologia disponibile, in fatto di gestione dei colori, si accompagna di fatto al minimo della informazione, mettendo il progettista nella impossibilità pratica di effettuare delle valutazioni comparative consapevoli.
Da una parte, la comunità scientifica sta (da tempo) approfondendo il problema , studiando metodi alternativi al CRI e più efficaci (uno di questi, il CQS, Color Quality Scale, che pare essere il maggior candidato a diventare il nuovo standard, sarà l’oggetto di un articolo di prossima pubblicazione). Dall’altra parte però, in assenza di un approccio universalmente accettato, si sta assistendo a comportamenti disomogenei, che portano ad inaccettabili carenze di informazione. Le informazioni relative agli aspetti cromatici dei LED fornite dalle aziende produttrici di apparecchi, sono in generale molto scarne, e si limitano per lo più alla sola indicazione della temperatura di colore. Il CRI, generalmente, non viene affatto citato, giacché come si è detto fornirebbe risultati deludenti e comunque non significativi. Tanto meno vengono riportati gli spettri cromatici, e neppure vengono forniti parametri alternativi (come il succitato CQS) che, per quanto ancora poco diffusi e dunque difficilmente valutabili, pure potrebbero fornire informazioni utili a quei progettisti che avessero voglia o necessità di approfondire la questione. Purtroppo, questo accade anche per aziende blasonate, dalle quali ci si aspetterebbe una maggiore attenzione.
A complicare ulteriormente la cosa, c’è il fatto che per le sorgenti il cui spettro sia modulabile tramite dimmerazione separata su più canali di sorgenti elementari di diverso colore , non è possibile caratterizzare a priori la resa cromatica della sorgente, giacché questa è appunto variabile. Ci dovrebbe essere dunque la possibilità di valutare tali parametri per qualunque combinazione possibile , tramite software.
In attesa che venga messa a punto un parametro effettivamente significativo e che esso si imponga come nuovo standard in sostituzione del vecchio CRI cosa dovremmo fare noi progettisti? Affidarci al solo esame visivo? O dovremmo sopperire alla carenza di informazioni verificandole direttamente, e dunque facendo entrare nei nostri studi lo spettrofotometro come strumento abituale di analisi, al pari del luxmetro che ciascuno di noi ha comprato per prima cosa, all’inizio della propria attività?
Spero in numerosi e qualificati commenti…
Voglio spezzare una lancia in favore di una categoria assai bistrattata: quella dei venditori di fumo.
Ci si riferisce a questi professionisti con un tono sempre dispregiativo, ignorando il livello di professionalità eccezionalmente evoluto che la loro specializzazione richiede.
Chiunque, all’occorrenza, è capace di produrre e vendere un po’ di fumo. Tutti noi, proviamo continuamente ad accompagnare con un po’ di fumo il nostro lavoro. Ma si tratta di una attività marginale, svolta spesso con un approccio dilettantesco ed approssimativo, tanto per dare maggiore completezza al proprio operato.
Al contrario, il venditore di fumo puro, quello che della produzione e vendita di fumo ha fatto il solo oggetto della propria attività, e che da vendere non ha proprio altro, deve mettere nel proprio lavoro un impegno ed una competenza inimmaginabili. L’ideazione, la progettazione, la realizzazione e messa a punto di fumo, e poi la sua distribuzione nelle quantità necessarie a soddisfare il mercato globale, richiedono una preparazione molto approfondita oltre che, naturalmente, una buona dose di talento naturale.
D’altra parte, vendere fumo è una delle attività per le quali il nostro Paese vanta una tradizione consolidata; una delle bandiere del Made in Italy. Tanto che spesso si mantiene saldamente radicata in Italia l’attività di produzione e vendita di fumo, anche quando sia inevitabile delocalizzare lontano tutto il resto della produzione.
Dunque, se decidete di comprare del fumo, rivolgetevi a dei professionisti di provata esperienza. Potreste, altrimenti, prendere delle fregature….
…di un nuovo blog sulla luce, ce n’era proprio bisogno?
In rete ce ne sono già tanti: per lo più si reggono sull’impegno di giovani professionisti, che li gestiscono con la stessa passione che presumibilmente mettono nella propria attività professionale.
In questo, il nostro blog è forse un po’ anomalo, proprio perché non si basa su di un impegno individuale, ma sulla volontà collettiva di dare voce alla maggiore associazione di professionisti della luce. Questo potrà forse, all’inizio, causare qualche scollatura, fino a che non si sarà trovato il ritmo e il coordinamento giusto fra tutti.
Ma senza dubbio il carattere collettivo è anche il maggior valore aggiunto di questo blog. Il progetto è ambizioso: diventare un punto di riferimento, una piazza di discussione, una fonte di informazione costantemente aggiornata.
Sì, ce n’era bisogno….
APIL
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