Forse, a qualcuno è sfuggita una notizia girata qualche mese fa in rete, e ripresa ieri in TV, in una in una di quelle trasmissioni che vanno dopo la mezzanotte e che di solito non guarda nessuno.
Si tratta di questo: megalopoli filippina; baraccopoli sterminate; ammassi di catapecchie fatte di lamiera ondulata e pannelli raccattati fra i rifiuti. La corrente elettrica non arriva, e se anche arrivasse, la gente che ci abita non avrebbe di che pagarla. Anche qualcosa che assomigli ad una finestra, è spesso un lusso non sostenibile. E poi, le baracche sono talmente addossate le une alle altre che la luce del sole difficilmente ce la farebbe a raggiungerne l’interno.
Il risultato è che questa gente non ha LUCE. Stanno praticamente al buio, anche di giorno. Non possono godere neanche dell’unica risorsa che, ai tropici, sarebbe gratis ed inesusaribile.
Un gruppo di volontari, ha messo a punto il progetto “Un Litro di Luce”, che si propone di portare almeno un po’ di luce in quelle misere baracche, ad un costo sostenibile, quasi nullo. L’idea è tanto semplice quanto geniale. Raccattano dai rifiuti una bottiglia di plastica ed un pezzo di lamiera ondulata, fanno un buco nella lamiera e ci passano la bottiglia, mezza di qua e mezza di là. Sigillano la giuntura con del mastice, che è l’unica cosa che devono comprare; riempiono la bottiglia con acqua e candeggina (che pare mantenga l’acqua trasparente, evitando che si formino alghe o micro-organismi) e piazzano questa specie di condotto di luce sul tetto della baracca. Ed ecco che, almeno di giorno, la baracca si illumina e restituisce un minimo di dignità alla vita di quelle persone.